Viaggio analogico nel Tempo presente
Quando ero adolescente ed ho iniziato a fotografare, nonostante sul mercato erano già presenti degne macchine digitali, scelsi di optare per una fotocamera analogica. Questa scelta è stata influenzata dal fatto che mio padre possedesse già una bridge Fujifilm digitale, ma soprattutto perché nella mia mente quella macchina fotografica era la stessa utilizzata dai fotoreporter dei film che amavo guardare.
L’anno successivo ho imparato anche a sviluppare le foto in camera oscura, un’esperienza affascinante e coinvolgente, ma con il tempo, la fotografia è per me diventata un lavoro e con l’esplosione dei social network e a causa delle necessità pratiche sono dovuto tornare al digitale.
Un anno fa ho finalmente realizzato il mio sogno di viaggiare in Vietnam e quando ho iniziato a pensare a quale corredo fotografico portare, è riemersa in me quella vecchia fascinazione adolescenziale: volevo scattare con colori desaturati ed in bianco e nero, indossando un gilet fotografico di metallo e fango, scarponi e jeans. Inizialmente ho avuto dei dubbi e un senso di imbarazzo, quasi come se stessi indossando un costume, un cosplay, come lo chiamerebbero oggi, ma alla fine ho deciso che mi sarei pentito di utilizzare la macchina digitale. Così ho optato per una Nikon F2 con due obiettivi pre-AI simili a quelli usati dai reporter durante la guerra del Vietnam e otto rullini, tre a colori ed il resto in bianco e nero.
Appena arrivato a Saigon, mi sono diretto verso il Pittman Apartments, luogo dove è stata scattata l’iconica foto dell’evacuazione in elicottero. Oggi, enormi grattacieli sovrastano quel palazzo che un tempo doveva essere uno dei più alti di Saigon. Un signore ci ha gentilmente lasciato salire in cambio piccola mancia e così abbiamo fatto. L’edificio ora, sembra essere un palazzo governativo abbandonato, ma l’ascensore funziona e siamo saliti. La scala sembra la stessa, ma è stata sostituita con una più moderna.
Una volta fuori da Saigon, ho trovato esattamente ciò che immaginavo: infinite risaie, montagne che sembrano enormi scogli, mercati galleggianti, tanto verde. Forse ho perso qualche foto, ma non ho mai avuto rimpianto di aver scelto l’analogica. Controllare gli scatti, l’esposizione, la composizione e solo alla fine scattare è diventato un esercizio, una routine più controllata, quasi cerimoniale, per catturare l’attimo con maggiore precisione.
Ritornato nel mio studio, nell’intimità della camera oscura, vedere le immagini lentamente formarsi tra le mie mani mi ha dato la stessa gioia di un bambino che scarta i regali durante il giorno di natale. Un’emozione che solo questa tecnica può dare. Da quel “magico” processo chimico che ritrova la luce all’interno del buio, sono riemersi i volti, i paesaggi e tutte le sensazioni di quello splendido viaggio. Attimi, atmosfere sospese e momenti che rimarranno impressi per sempre sulla pellicola e dentro di me.